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R. Girard – Menzogna romantica e verità romanzesca

Siamo abituati a vedere il desiderio come una costruzione rettilinea che dal soggetto va direttamente all’oggetto: per esempio, io desidero essere ricco, quindi l’oggetto delle mie brame è la ricchezza in sè. Girard invece afferma che il desiderio ha una costruzione triangolare, ossia fra il soggetto e l’oggetto sta sempre un mediatore: per esempio io non bramo l’oggetto ricchezza in sè ma desidero essere ricco perchè esistono persone ricche, che fungono da catalizzatore del desiderio, e quindi, in realtà, quello che voglio è essere come quelle persone. Questo meccanismo triangolare del desiderio è sempre e comunque valido, e si applica a tutte le nostre voglie.

Quello che Girard sta dicendo è che la legge universale del comportamento umano consiste nel carattere mimetico, nel senso di imitativo, del desiderio. Noi imitiamo dagli altri i nostri desideri, le nostre opinioni, il nostro stile di vita. Chi imitiamo esattamente?, vi chiederete. Imitiamo le persone che stimiamo e rispettiamo, mentre contro-imitiamo le persone che disprezziamo. Quindi il nostro comportamento è sempre un’imitazione, perché è sempre in funzione dell’altro, nel bene come nel male.

 

Ma non finisce qui. Molto interessante è il fatto, nota l’autore, che questo modo di intendere il desiderio ha la sua radice in un male ontologico: il nostro desiderio di assoluto, che nella nostra società moderna viene distorto e reindirizzato dal sacro al mondano. Vi ricorda qualcosa? Non provate mai un senso di mancanza? Non cerchiamo più l’appagamento del nostro desiderio metafisico, che si configura come felicità, salvezza, o altro, in un dio distante ma in ciò che chiama mediatori, sempre più vicini a noi, che prendono incosciamente il posto della divinità oramai assente. Il nostro desiderio si configura quindi come una trascendenza deviata che non potrà mai essere soddisfatta. Quindi, assumendo un’ottica negativa, possiamo affermare che male e desiderio sono profondamente legati. Dice l’autore:

“Il male esiste ed è il desiderio metafisico stesso, è la trascendenza che tesse gli uomini al rovescio, separando ciò che essa pretende di unire, unendo ciò che pretende di separare[…].
Il valore dell’oggetto consumato dipende oramai solo dallo sguardo dell’altro. […] L’altro domina sempre l’esistenza dell’individuo ma questo altro non è più, come nell’alienazione marxista, un oppressore di classe, è invece il vicino di casa, il compagno di scuola, il rivale professionale. L’altro diventa più affascinante a mano a mano che si avvicina all’io”.

 

Ci crediamo esseri autonomi e liberi, crediamo nell’unità psicologica delle persone, nella nostra compatezza come IO, dissumulando a noi stessi la verità del desiderio, che è invece triangolare e mediato da altri. Questa è la grande menzogna romantica secondo l’autore, in cui siamo tutti avvinti. Menzogna che può assumere il carattere di autoinganno.

Troviamo poi un altro concetto a mio avviso molto affascinanante, che è quello di ostacolo. è proprio l’ostacolo che rinforza la passione, è l’ostacolo che tendiamo a ricercare perchè porta al parossisimo l’intensità del nostro sentire, anche se si configura poi come sofferenza. Anzi forse proprio per questo. Il termine ultimo di questa corsa verso ciò che ci sembra salvezza si esaurisce nel suo contrario, avverte l’autore:

“Il male ontologico continua ad aggravarsi man mano che il mediatore si avvicina al soggetto che desidera. Il suo termine naturale è la morte. […] Al masochismo succede l’ultimo stadio del desiderio metafisico, quello dell’autodistruzione”.

 

Davanti a questa evidenza, la lucidità contemporanea, il disincanto dell’uomo moderno, esegue una rotazione di trecentossessanta gradi e ritorna alla cecità. Adesso il desiderio metafisco coincide con la dissimulazione estrema, il pretendere di non desiderare, come il Mersault di Camus o il Roquentin di Sartre:

“Sono gli altri che desiderano intensamente, è l’eroe, cioè l’io, che desidera debolmente o addirittura non desidera affatto; […] Il primo romantico cercava di provare la sua spontaneità, cioè la propria divinità, desiderando più intensamente degli altri. Il secondo romantico cerca di provare la stessa cosa, ma con mezzi opposti. […] Si tratta sempre, insomma, di convincere gli altri e soprattutto di convincere sè stessi che si è perfettamente e divinamente autonomi
[…]Dietro la fantasmagoria moderna, dietro il turbinio degli avvenimenti e delle idee, al termine dell’evoluzione sempre più rapida della mediazione interna, vi è il nulla. L’anima è giunta ad un punto morto”.

Il caro vecchio Nulla.